“Se in un racconto compare una pistola, bisogna che prima o poi spari.” Così diceva Anton Cechov. Si potrebbe anche dire che, se in una determinata situazione di tensione, uno mostri una pistola, è molto probabile che questa spari.A proposito della guerra in Ucraina vorrei spendere qualche parola sulla comunicazione che in Italia si fa di questa tragedia.
Parlo di comunicazione e non d’informazione, poiché credo che l’informazione sia altra cosa da quel che si va praticando.
Leggo per esempio oggi sul Corriere della Sera un articolo sui gas e su ordigni nucleari tattici come armi possibili per l’escalation nel conflitto russo-ucraino. Stessa discussione viene esercitata nei vari salotti televisivi nei quali gli esperti (veri o presunti) di geopolitica, di strategie e tattiche militari o semplici giornalisti tuttologi che disquisiscono della guerra hanno sostituito gli esperti (veri o presunti) di virologia, di medicina o semplici giornalisti tuttologi (sempre gli stessi) che disquisivano della pandemia. Tra l’altro, solo ora scopriamo, ingenui, che non lo facevano e non lo fanno gratis.
Ora, considerare in discussioni televisive o in articoli giornalistici come “possibile” l’uso di armi di vera distruzione di massa quali i gas o le varie sostanze chimiche e biologiche o gli ordigni nucleari ancorché tattici (come se fossero meno pericolosi, devastanti e inquinanti), lo trovo demenziale e pericoloso.
Da qui la citazione di Cechov.
Se cominciamo a considerare “possibile”, sia pure a chiacchiere, una tale escalation nel cuore dell’Europa il rischio che la trovino “possibile”, stavolta sul serio, e ne traggano motivo di giustificazione anche coloro i quali tali armi le posseggono e le possono usare, diventa sempre più elevato e attuale.
Posso capire le tattiche di disinformazione messe in atto dai contendenti e dai loro supporter governativi di entrambi gli schieramenti (ne abbiamo avuto contezza in altre situazioni, vedi la guerra in Iraq del 2003) che tendono a rappresentare il nemico come malvagio, folle e sanguinario.
Non posso però capire, e tantomeno giustificare, i nostri gazzettieri che pur di fare spettacolo serale in tv giocano pericolosamente e incoscientemente con le emozioni dell’opinione pubblica e, a lungo andare, degli stessi decisori.
Qui non affronto il tema, pur degno di attenzione, purché serena, laica e informata, se sia giusto o meno armare gli ucraini. Anche se alcune domande sarebbe lecito porsele: chi stiamo armando: l’esercito, le milizie, i civili trasformati in partigiani ? con che cosa (residui di magazzini Nato in modo da liberare spazio per armamenti più evoluti e alimentare così la spesa militare)? che fine faranno queste armi? avere milizie armate nel cuore dell’Europa, alcune di queste decisamente lontane dal poter essere considerate democratiche è saggio?
Non affronto il tema del rischio del “pensiero unico” per cui si zittiscono coloro i quali cercano onestamente di evitare la visione a tunnel dominante allargando lo spettro di attenzione a fatti, ragioni e valutazioni. Mi riferisco a persone di qualità (non propagandisti) quali Luciano Canfora, Franco Cardini, lo stesso Lucio Caracciolo. Costoro non equiparano aggressore con aggredito (chiunque muova guerra è un criminale di guerra in senso morale, umanitario e storico, anche se non in senso strettamente giuridico) ma cercano delle spiegazioni che vadano al di là della cattiveria dei singoli. Dovrebbe essere, questo, il compito degli intellettuali.
Non affronto qui nemmeno il tema, l’unico che meriterebbe davvero attenzione, di quali soluzioni adottare perché la guerra finisca. Oggi la rivista Foreign Affairs (edizione settimanale online) la domanda se la pone: “How to Make Peace With Putin”. E cerca pure di dare delle risposte. I nostri esperti la domanda non se la pongono. Inseguono le emozioni forti come le nostre nonne che si raccontavano storie di paura per spaventare i bambini e scaricarsi l’ansia nelle lunghe notti d’inverno.
Con la paura si vendono copie e si alza lo share.
Ma, come cantava Enzo Jannacci “la televisiun la t’endurmenta come un cuiun”. E un’opinione pubblica addormentata a furia di vuote chiacchiere diventa docile, succube e sacrificabile.
“Il sonno della ragione genera mostri” (Francisco Goya).
Pepito Sbazzeguti
(venerdì 25 marzo 2022)
Se le nonne raccontavano per spaventare i bambini o per scaricare le loro ansie, il Moloch della Comunicazione.viaggia col pilota automatico inserito avendo a bordo una vera e proprie bomba che ha il tragico effetto di lobotomizzare l’opinione pubblica con una continua escalation di notizie sempre più clamorose e gravi per mantenere il livello di terrore desiderato e lasciar diventare le cose, già di.per sè orrende, di normale amministrazione.. Oggi il gioco di chi le spara sempre più grosse può portare a che vengano sparate sul serio..