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Sei a quattro: una minoranza che diventa maggioranza

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Giornali e tv non spostano voti ma aiutano a non andare a votare: dopo tutte le volgari stupidaggini  di Sanremo (un festival del cattivo gusto e della brutta musica), del governo e della opposizione (si fa per dire) vince il partito della astensione, ovvero il disinteresse, l’antipolitica, la sfiducia nelle istituzioni e nei “partiti” e nella politica.

In Lombardia e a Milano, sei cittadini su dieci  non vanno a votare né per il sindaco né per il presidente della regione più avanzata d’Italia. Ma ai partiti non interessa nulla, basta avere i loro posti: nessuno parla dei valori assoluti, ma solo delle percentuali di voto ai partiti.

In questa elezione hanno partecipato al voto il 41,67% degli elettori della Lombardia, (41,53% nell’area metropolitana, 42,12% nella città di Milano): due milioni in meno di settembre 2022 e due milioni e seicento mila meno del 2013. Nel 2010 i votanti furono il 65% (dato più basso prima di ieri), nel 2013 il 77% e nel 2018% il 73%.

Insomma, hanno votato per le liste dei partiti il 36% degli otto milioni di aventi diritto e per i presidenti il 41% : 365.000 persone hanno votato solo per i candidati presidenti.

E anche questi dati indicano che votare in due giorni e  per 24 ore è proprio di un paese anomalo – in cui di volta in volta si decide la durata delle operazioni di voto, segno anche questo  della decadenza della pratica politica italiana –  ma non si conquistano gli elettori.

Certo, la mediocre “offerta” partitica e le modeste candidature per la presidenza hanno aumentato la disaffezione al voto, Sta di fatto che grazie ad una legge elettorale –  giusta per un ente amministrativo come un Comune  sotto i 15.000 abitanti, ma sbagliata per un ente legislativo, di indirizzo e di programmazione – con il maggioritario secco, si ottiene che un presidente, che ha poco più di un voto ogni cinque elettori,  abbia la maggioranza dei seggi in consiglio regionale: pur rappresentando solo il 22% dei lombardi, ha il 60% dei seggi del consiglio regionale (dove hanno inventato anche la figura del “consigliere sostituto”dei consiglieri che vanno a fare gli assessori).

Era evidente che il centrodestra avrebbe vinto, visto che l’occasione di unire le forze del centro e della sinistra è svanita di fronte all’autocandidatura della Moratti, prontamente sostenuta con un piglio personalistico e romanocentrico da Calenda. Un flop scontato visto che si proponeva agli elettori di bere un vino stagionato nel centrodestra, imbottigliato poi  nel terzo polo, che non ha tolto a quella candidatura un sapore allappante, in particolare per l’elettorato di centrosinistra. Con il risultato che la lista Moratti ha cannibalizzato  il terzo polo: la candidatura Moratti ha preso duecentomila voti meno di quelli raccolti dal terzo polo alle politiche del 2022.. Un errore grossolano che ha portato a un disastro, di cui è totalmente responsabile il sistema verticistico del terzo polo.

Né meglio è andata al centrosinistra e al PD ben lontano dal 26% del PD del 2013 (candidatura Ambrosoli): lo scarso risultato del movimento 5Stelle (un terzo dei voti presi per la Camera 2022)  ha dimostrato che l’errore politico di questa alleanza non è stata compensata sul piano elettorale, anzi forse l’unione PD-5S ha danneggiato la coalizione. Il PD oggi ha quasi settecento cinquantamila voti in meno del 2013 e la lista Majorino ha preso meno di un terzo dei voti della lista Ambrosoli e quasi cinquantamila voti meno della lista Gori.

E comunque una candidatura tutta spesa sui diritti, sulle minoranze, sugli immigrati, e poco attenta ai lavoratori e alle forze produttive certamente non poteva andare oltre il risultato deludente di queste elezioni. Continuo a ritenere che un’altra candidatura, quella di Lorenzo Guerini, avrebbe potuto unire centro e sinistra con molte possibilità di vittoria. Ma per questo ci vorrebbe un partito che sappia superare gli egoismi, di parte e anche personali, e guardare agli interessi generali. Ma fare una campagna elettorale di due regioni importanti del Paese senza il segretario del “partito” è un sintomato della crisi politica, ideale, culturale del PD.

Dopo le vicende del Covid, le opposizioni non sono state in grado di scalfire il potere del centrodestra in Lombardia, dove la Lega, a dispetto di tutte le previsioni e delle aspettative del centrosinistra, ha tenuto sommando i voti della Lega e della lista Fontana. Così come non sembra sparita nel nulla Forza Italia. E Fratelli d’Italia si conferma il primo partito della Lombardia, ma non stravince, anzi perde metà elettorato del 2022. Tuttavia il PD e il terzo polo dovrebbero riflettere seriamente sul fatto che il partito diretto da La Russa  sia passato, in questa regione,  da ottantamila voti del 2013 a oltre settecentomila voti del 2023 e di fatto sia l’unico partito che ha più elettori di dieci anni fa.

Non è il caso, per l’opposizione, di pensare che  l’avversario principale sia Fratelli d’Italia e che (al di là dello smandrappato Salvini) sia opportuna una iniziativa politica che agisca sulle contraddizioni esistenti nel centro destra e che cerchi di dividere Lega e Forza Italia da Fratelli d’Italia, a direzione La Russa?

E forse non è il caso di pensare a costruire in questi anni una candidatura per la Regione e per il Comune, senza improvvisare all’ultimo momento?

“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buona notte, e buona fortuna”

Luigi Corbani

(martedì 14 febbraio 2023)

P.S. L’esortazione al voto utile e la proposta di eleminare la distinzione uomo-donna  ai seggi, superando le distinzioni di genere (peccato che poi le due possibili preferenze dovevano essere a una donna e a un uomo) sono state fondamentali per sottolineare cosa si aspetta il Comune di Milano dalle politiche regionali.

2 thoughts on “Sei a quattro: una minoranza che diventa maggioranza”

  1. Ferrari ha detto:
    Febbraio 16, 2023 alle 9:49 pm

    Mi permetto di aggiungere: quandi ci si mettono 5 mesi per eleggere un nuovo segretario del partito dopo una sconfitta elettorale (25 settembre 2022) dopo un dibattito “vuoto” ( almeno per me) come si puô pretendere di sollecitare la fiduciaire dell ‘elettorato e la “verve” dei propri sostenitori? Per concludere prendo in prestito da Luigi una sua définition per il gruppo ditigente del PD: smandrappati.

    Rispondi
  2. Alberto Secchi ha detto:
    Febbraio 21, 2023 alle 3:37 pm

    Giusto quanto rilevato da Luigi Corbani, però …
    1. Le alleanze si costruiscono gradualmente, non si improvvisano alla vigilia delle elezioni pensando di poter sommare all’ultimo momento i programmi elettorali senza poter fare il lavoro di integrazione necessario per rendere chiari e compatibili i diversi punti programmatici, in modo che partiti diversi si coalizzino “consapevolmente” e “lealmente” per dare davvero un comune impegno.
    Se anche si fosse realizzato un accordo all’ultimo momento fra PD e Terzo Polo, l’accordo sarebbe stato debole, ciòé sostanzialmente basato sul nome del candidato eventualmente scelto e non sui contenuti dell’azione politica da intraprendere e sulle priorità.
    2. Il programma politico però – e mi riferisco in particolare al PD – non è il “manifesto elettorale”, ma il risultato di un lavoro di costruzione che raccoglie idee e contenuti dal contatto continuo nel tempo, quindi soprattutto oltre il periodo elettorale, con la base elettorale degli iscritti, con diverse componenti sociali, con componenti del mondo del lavoro e dell’impresa (quella produttiva naturalmente), con la cosiddetta società civile, ma anche in particolare con componenti – settori e personalità – del mondo della cultura.
    3. C’è invece da temere che l’impegno politico si riduca , da qui alle prossime elezioni, in un racconto delle cose che avvengono nel “parlamento” regionale, cioè alla cronaca, dimenticando che l’indirizzo politico e le decisioni politiche richiedono una verifica continua “sul campo”.
    In somma va completamente rinnovato il metodo di lavoro nella politica – ritornando forse, per quanto possibile, a forme di iniziativa del passato -, anche se – lo dico per riconoscere l’impegno individuale dei candidati – un qualche sforzo per uscire dalla tana è stato fatto.

    Rispondi

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