Il festival di Sanremo è un evento nazionale inesorabile. Tokyo può rinunciare alle Olimpiadi, ma la Rai non può rinunciare a Sanremo: dicono che quest’anno (2020) ha avuto un utile di 20 milioni (entrate da pubblicità per 37 milioni e uscite per 17). Non importa che poi la Rai li spenda per pagare decine di direttori di canali o di testate, di vicedirettori, capiredattori, capiservizio, nominati in questi ultimi mesi di pandemia. Sì, perché il morbo infuria, ma la Rai è immune dai problemi del Paese; si nomina come prima, più di prima: c’è spazio anche per i parenti, oltre che per tutte le correnti “politiche”, al punto che in Rai si è registrato un record nel panorama giornalistico mondiale: a un certo punto la redazione del GR3 non aveva più neanche un redattore ordinario.
Ora, in Rai si sta pensando di fare il Festival di Sanremo con il pubblico: “Perché senza pubblico, che Sanremo è? Ripetono come un mantra gli artisti“ – scrive Silvia Fumarola su “Repubblica” – “Per creare “la bolla” e garantire una zona no covid, 400 spettatori sottoposti a tampone sarebbero isolati sulla nave Smeralda della Costa Crociere fino al 2 marzo, data di inizio. Quarantena galleggiante. In Rai filtra la conferma: “In effetti è vero, è una delle ipotesi prese in considerazione”. L’altra è quella di smistare gli spettatori in tre o quattro alberghi, tipo testimoni dei processi. Pochi movimenti e massima disciplina”.
Pare che l’idea della nave sia di Antonio Marano, foggiano di nascita, varesino di adozione, deputato della Lega Nord e poi sottosegretario del primo governo Berlusconi, € 240.000 di compenso nel 2019, presidente di Rai Pubblicità fino a gennaio, quando il dirigente lascerà viale Mazzini per la “Fondazione Milano-Cortina” per le Olimpiadi del 2026 (che prima o poi nel suo sito spero metta anche l’organigramma, i componenti del cda, ecc).
Ora l’idea della nave mi sembra, come dire, un po’ eccessiva, ma la Rai, pur di avere il pubblico, è disposta a tutto. Che sia giusto o no, la Rai se lo può permettere, anche se va contro i gusti del ministro Franceschini a cui piace, in questo periodo, lo streaming senza pubblico in sala. Pare che il ministro abbia fatto arrabbiare i vertici della Rai e di Rai Com per avere preferito per la sua “Netfllix italiana” , alla azienda pubblica, una azienda privata: Chili, creatura di Stefano Parisi, che pochi giorni fa ha dichiarato di lasciare la politica attiva e di “tornare al suo lavoro”. Ma questa è un’altra storia che merita approfondimenti.
Fatto sta che, mentre la Rai si preoccupa di salvare il suo “core business” (il festival di Sanremo), non si capisce che cosa stiano facendo il Ministro Franceschini, le Regioni e i Comuni per le attività di spettacolo, per i musei, le biblioteche.
Si aspetta che l’80% della popolazione sia vaccinata? Aspettiamo un anno prima di riavviare cinema, teatri, concerti, musei, biblioteche, ristoranti, bar? Certo, se si prendesse il Mes per la sanità, si potrebbero realizzare, su ampia scala e per tutti i luoghi di cultura, per attori, musicisti, cantanti, tecnici, ecc. e utenti, attività di prevenzione, per testare, tracciare e trattare eventuali positivi. Si potrebbe anche associare ai luoghi di spettacolo, ai musei o ai ristoranti, ai bar e alle palestre, forme di “certificazione no-covid”. Chi fa i tamponi o i test o la vaccinazione dovrebbe avere (nel rispetto della privacy) un certificato valido per non sottostare a vari divieti che non siano l’obbligo della mascherina e del distanziamento fisico.
Insomma, bisogna al più presto riavviare le attività culturali e le attività collaterali (come bar e ristoranti) del Paese tanto più che nessuno ha dimostrato che in qualcuno di questi luoghi ci siano stati focolai di contagio. Non mi risulta un teatro, un cinema, una sala da concerto segnalato per la propagazione del virus. In Corea sono stati chiusi una serie di locali a Seul dopo che erano stati trovati dei casi positivi, non sono stati chiusi tutti i locali di tutta Seul o della Corea.
Qui, poiché non si sono messe in piedi squadre di “tracciatori” (perché non reclutare i “navigator” alla bisogna?), non si è stati in grado di rintracciare i contatti dei positivi: allora si chiudono tutti i teatri, ecc, luoghi dove non ci sono mai stati assembramenti ma frequentazioni controllate e disciplinate.
Si pensa di andare avanti con ristori e bonus, ampliando il debito pubblico? E intanto agli artisti, tecnici, non dipendenti pubblici, arrivano, quando arrivano, due peperoni e un cocomero. O si pensa di sostituire lo spettacolo dal vivo con lo streaming, adesso e per il futuro? Suvvia, è come pensare si sostituire l’amplesso reale con il sesso virtuale.
Ben altro è il rapporto che deve intercorrere tra spettacolo dal vivo e mezzi televisivi o digitali, diretti o on demand. Ed è una pura mistificazione che le attività di spettacolo o i musei, ecc. possano avere entrate dallo streaming in grado di sostituire, in tutto o in parte, il contributo diretto e indiretto dello Stato.
Un Paese non si distingue nel panorama e nella competizione internazionale per la quantità di beni artistici e storici; si segnala ed eccelle per la qualità e la quantità delle sue attività culturali, aperte e funzionanti, di cinema, di teatri, di concerti, di musei, di biblioteche, ecc.
Ecco anche perchè con il “Next Generation EU” – e sono una cosa insensata i 3 miliardi su 196 per il “turismo e cultura”, previsti nel piano Conte, peraltro in un’accoppiata che per l’ennesima volta non riconosce la specificità dei due ambiti e che finisce per privilegiare il turismo sulla cultura – bisogna recuperare spazi, teatri, cinema, musei, abbandonati, con una grande opera di rilancio delle strutture esistenti e di incremento delle attività culturali, in particolare nel Sud. Per esempio, bisogna creare decine di orchestre che diano lavoro a quelle migliaia di diplomati dei conservatori che non hanno nessuno sbocco occupazionale, oggi come ieri.
E ci vorranno molte risorse per tornare a formare il pubblico, ad ampliarlo, associando le nuove e le vecchie generazioni. Creare e formare il pubblico è una opera lunga e faticosa, perderlo è un attimo. E qui, non siamo più agli attimi, siamo a mesi di abbandono, il che non è solo un danno economico per chi lavora nello spettacolo o nei musei, e quindi per l’economia nazionale.
I teatri, i cinema, i concerti. i musei, per dirla con la legge del ministro socialista Achille Corona, sono luoghi “di rilevante interesse generale, in quanto intesi a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale”. Sottolineo, “sociale”: sono luoghi di socialità, che servono a formare una comunità, a creare l’appartenenza a una collettività.
Le attività culturali sono indispensabili, come il pane, l’acqua, l’aria e l’energia elettrica. Tutti, e in primo luogo chi governa il Paese o una Regione o chi amministra una città, dovrebbero avvertire la gravità della scelta di chiudere un teatro, un museo, perché in questo caso si priva la comunità di quanto ci contraddistingue dalla civiltà. Povero quel Paese e povera quella gente che accetta che siano chiusi i teatri e i musei, le scuole e nel contempo siano aperti i centri commerciali. Non possiamo né dobbiamo arrenderci e in poco tempo tornare indietro di secoli al “primum vivere, deinde philosophari”. Non possiamo né dobbiamo essere solo consumatori, anche in epoca di pandemia.
Pur con tutte le precauzioni e le prevenzioni di ordine sanitario, i teatri, i cinema, i musei, i concerti, le biblioteche devono essere riaperti il più presto possibile, per ridare vita a una nazione, a una comunità di persone.
“La colpa, caro Bruto, non sta nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(mercoledì 30 dicembre 2020)
Ricordo che nel 2015, l’allora ministro dei beni culturali On. Dario Franceschini si rallegró per il Dl 145 denominato Colosseo il quale riteneva la cultura tra le attività essenziali per la nazione…
Evidentemente ha cambiato idea..
Non lo hai pensato, non ha mai fatto nulla per la cultura, anzi né allora né ora.
Chiedo scusa, il Dl è il 146 del 2016