La vicenda della stazione dei Carabinieri di Piacenza è ben più grave, a mio parere di quanto si tenda a pensare. Oggi siamo alle indagini e, fino a sentenza definitiva, un imputato non è colpevole. Ma qui, o nel caso Palamara, c’è qualcosa che va al di là dei singoli episodi o delle “mele marce”. Nessuno deve generalizzare sui carabinieri o sui magistrati.
Abbiamo pagato e stiamo ancora pagando duramente il prezzo di una campagna generalizzata contro la politica e i politici, i partiti e il costo della democrazia. Oggi la politica deve riscattarsi e assumere una dignità nuova: qui il problema non è la discussione su chi utilizza i fondi dell’Europa che arriveranno comunque l’anno prossimo, il punto fondamentale è quello di ricostruire lo “Stato“. Ripetuti episodi hanno minato la fiducia dei cittadini negli apparati preposti a difenderli e a garantire sicurezza e giustizia. Stiamo parlando di apparati che sono abilitati, attraverso le leggi del Parlamento, ad usare una “violenza”, definita e circoscritta, fino al punto di privare le persone della libertà personale. Stiamo parlando di limitazioni di diritti dell’uomo sanciti solennemente dalla ”dichiarazione universale” del 1948.
Per gli apparati preposti alla sicurezza (polizia, carabinieri, guardia di finanza, ecc.) nonché per la magistratura deve valere il principio della “moglie di Cesare”: devono essere al di sopra di ogni sospetto. Non si può generalizzare, ma neanche liquidare come “mela marcia”, o “mele marce”: la questione di fondo è come funziona il sistema organizzativo e di controllo. Sono le catene di comando e di controllo, fino ai massimi livelli, che sono messe in discussione quando si trova una “mela marcia”. Materialmente non c’entra nulla il comando generale dell’Arma, o il Consiglio superiore della Magistratura. Ma dal punto di vista istituzionale, c’entrano, eccome: significa che i meccanismi di autodifesa dai malandrini o dai malfattori, interni a quegli apparati, non hanno funzionato e non funzionano. Se, come è successo in una azienda pubblica, un funzionario di quarto livello ha il potere assoluto sugli appalti, e nessuno si accorge di nulla e di nessuna anomalia, significa che l’organizzazione e i sistemi di controllo interni dell’azienda non sono efficienti ed efficaci. Deve scoppiare il bubbone, perché ci si accorga che c’è un malanno?
E qui non importa come finiscono i processi, quella è un’altra storia: qui in discussione è il sistema di comando, di controllo, di promozione e di premiazione, di uso dei confidenti, di tempestività dell’azione penale, di rapporti con l’autorità giudiziaria, di rapporti all’interno della magistratura, ecc.. E ci sono altri problemi ancora.
Come vengono trattati coloro che all’interno degli apparati segnalano guasti, illeciti o illegalità? Vengono promossi, una volta accertata la veridicità delle loro affermazioni, o vengono ostracizzati, emarginati come “spioni” o “infedeli”? Su quali valori vengono formati gli appartenenti alle forze di sicurezza interna ed esterna o della magistratura? C’è alla base della formazione una cultura “costituzionale” dei valori di fondo della nostra Repubblica? Sanno cosa sia la storia italiana degli ultimi cento anni, compresa la Resistenza? Sanno cosa siano gli ideali e i valori dell’antifascismo a base della nostra Repubblica? Chissà se sanno cosa è accaduto il 25 luglio 1943? Nei corsi di formazione di questi apparati sono ben presenti i diritti universali dell’uomo e quelli del cittadino, come sanciti dalle leggi europee e italiane? Non oso chiedere se sanno la distinzione tra la “Corte europea dei diritti dell’uomo” e la “Corte di giustizia europea”, visto che persino dei parlamentari le confondono.
Il Paese deve risolvere il problema dell’abuso della carcerazione preventiva, del diritto ad un equo processo e a una ragionevole durata dei processi. Un terzo dei detenuti sono imputati in attesa di giudizio e la situazione delle carceri è indegna di un Paese europeo. Per gli indennizzi per le durate irragionevoli dei processi e per gli errori giudiziari (1.000 persone all’anno ingiustamente detenute per errore), in questi anni lo Stato ha pagato quasi un miliardo di euro.
Il covid 19 ci ha colti, mentre era in corso un braccio di ferro sulla abolizione della prescrizione (per cui una persona rimane imputato a vita) e sulle tesi del più votato dei magistrati italiani, per il quale non ci sono errori giudiziari, non ci sono innocenti finiti per sbaglio in prigione, ma gente colpevole che l’ha fatta franca.
Ecco, noi dobbiamo riprendere un grande sforzo unitario per ristabilire la legalità democratica nel Paese, che ha larghe parti del suo territorio in mano alla criminalità organizzata, attraverso apparati dello Stato integri e trasparenti. A questo compito sono chiamate le forze politiche responsabili, e in primo luogo quelle che sanno mettere, davanti agli interessi di parte, gli interessi comuni di uno stato di diritto.
Ero convinto che l’Europa avrebbe garantito contro qualsiasi deriva illiberale ed autoritaria. Ma al vertice europeo sul “Recovery fund” così non è stato: la Polonia e l’Ungheria sono lì a dimostrarlo. E anche nel nostro Paese sembra che il garantismo sia una scelta politica opposta al giustizialismo, e non l’essenza stessa di un sistema democratico e liberale.
Il Parlamento europeo l’altro giorno ha “deplorato fortemente il fatto che il Consiglio europeo abbia significativamente indebolito gli sforzi della Commissione e del Parlamento volti a difendere lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la democrazia, dentro il Quadro Finanziario Pluriennale e lo strumento Next Generation EU”. Anche da questa vicenda si fanno sempre più forti le ragioni per spostare le leve del comando dal “Consiglio europeo dei ministri” alla Commissione europea e al Parlamento europeo.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(sabato 25 luglio 2020)