Ho sollevato il problema della occupazione femminile, che è la questione centrale per una forza riformista. Va bene che i sindacati parlino della difesa del lavoro, intendendo i diritti degli attuali occupati. Ma il problema gigantesco che abbiamo è quello di creare lavoro per milioni di persone, donne, in primo luogo, che non ne hanno. Non possiamo continuare a nasconderci che la ricchezza in Italia è prodotta da una minoranza, mentre la maggioranza vive con le rendite, in gran parte pubbliche.
Il problema drammatico del nostro Paese è il numero della popolazione attiva. La popolazione che produce ricchezza e reddito è meno della metà. In Italia solo il 38,5% della popolazione lavora (23.269.000 su 60.483.973) e solo il 60% della popolazione in età tra i 15 e i 64 anni. Nel calcolo, ovviamente, ci sono ottocentomila persone dell’Unione europea che lavorano da noi e oltre un milione e seicentomila extracomunitari (quelli ufficiali).
Prendiamo un settore, i lavoratori domestici. Ci sono quasi 900.000 lavoratori domestici regolari censiti dall’Inps, che equivalgono all’8% dei lavoratori dipendenti italiani e danno circa 1,4 miliardi di entrate allo Stato. Le famiglie attualmente spendono più di sette miliardi l’anno. Le stime però ci dicono che, in nero, ci sono 1,2 milioni di lavoratori domestici ( extra comunitari, per lo più e moltissimi senza permesso di soggiorno o di lavoro). Fare una politica per le donne (e per la famiglia), nell’ambito di una politica dell’occupazione femminile, significa anche dare agevolazioni alle famiglie per regolarizzare il nero: ciò significa aumentare le entrate pubbliche di 2 miliardi.
“Abbiamo l’occupazione massiccia di posizioni sociali infime, non di rado genuinamente servili, da parte di un nuovo gruppo sociale: gli stranieri che provengono da Paesi meno ricchi del nostro” quello che Luca Ricolfi chiama “infrastruttura paraschiavistica”.
E si fa finta di non vedere nulla da anni: non vogliamo gli stranieri, così siamo giustificati a tenerli nelle baraccopoli di fortuna per fare i lavori nei campi, e nei cantieri edili, nei cantieri navali, nei lavori domestici e assistenziali, ecc. che gli italiani non accettano. Continuiamo ad imbrogliarci a raccontarci delle favole.
Più di tredici milioni di persone sono considerati inattive (4,8 milioni di uomini e 8,5 milioni di donne). Si consideri che abbiamo 39 milioni di persone nella fascia d’età 15-64 anni; 13,6 milioni oltre i 65 anni e solo 8 milioni di bambini e ragazzi fino a 14 anni.
In Europa si lavora 36,2 anni, in Italia 31,8: più di quattro anni in meno. Del resto, anche gli uomini italiani lavorano meno degli altri maschi europei: 36,4 anni contro i 38,6 della media europea
Ma si inventa “quota 100” per fare andare in pensione prima a 62 anni. Fosse solo per i lavori pesanti e/o usuranti, andrebbe bene; no, è una misura di significato puramente elettorale per tutti, anche per il pubblico impiego. E si sono raccontate un sacco di balle, tipo che per ogni pensionato si assumevano 3 persone, poi scese a 2, poi scese a 1, e via raccontando bugie, ecc. In realtà ad oggi, solo 4 persone sono state assunte ogni 10 pensionati di “quota 100”.
Abbiamo seicentomila pensioni in pagamento da oltre 38 anni. Oltre tre milioni e mezzo milioni di pensioni ( il 22% del totale) sono in pagamento da più di 26 anni. Ovviamente, lunga vita ai pensionati, ma la politica deve preoccuparsi di fare un piano per incrementare la popolazione attiva, altrimenti il Paese è destinato a vivere di rendita.
Abbiamo più di 4 milioni di pensioni sociali, di guerra, di invalidità, di accompagnamento, o indennitarie: un quarto delle pensioni sono spesa assistenziale. Ma non facciamo una anagrafe dell’assistenza in cui raccogliere tutti i contributi erogati a qualsiasi titolo al cittadino. No, per non rendere noto come e a chi diamo 116 miliardi di spesa assistenziale (che in dieci anni è raddoppiata). Si noti che spendiamo solo 66 miliardi per l’educazione, quasi 10 miliardi in meno del 2008: la spesa pubblica per l’educazione in Europa è il 10,2%, in Italia è al 7,9%, la più bassa d’Europa; la percentuale di spesa per l’istruzione sul PIL è al 3,8%, la più bassa d’Europa.
Se scorporassimo dal conteggio pensionistico l’assistenza, saremmo un Paese quasi normale: con quasi due lavoratori che versano i contributi per ogni pensionato. Ma al contempo, non facciamo una politica per recuperare il record europeo dei giovani sotto i 30 anni senza arte né parte: abbiamo oltre due milioni di NEET (not in education, employment or training).
Siamo felici che ci siano tredici milioni e mezzo di uomini attivi: peccato che rappresentino solo il 46% della popolazione maschile complessiva, il 69% della popolazione maschile cosiddetta in età di attività. Penultima nell’Unione Europea per il livello di occupazione, ci segue solo la Grecia. La strategia “Europa 2020” mirava a raggiungere un tasso d’occupazione totale per la fascia d’età 20-64 di almeno il 75% entro il 2020: oggi noi siamo al 65%, per arrivare al 75% dovremmo creare 3,5 milioni di posti di lavoro, io dico in primis, per le donne.
Facciamo però provvedimenti da Paese ricchissimo, tipo “reddito di cittadinanza” e “quota 100”, che non aumentano la popolazione attiva, ma anzi pesano ancora di più sulla minoranza che lavora, quando in sostanza, coloro che creano ricchezza, che producono sono la minoranza della popolazione. Vi ricordate i 6 milioni di poveri ? Il Presidente dell’Inps spara numeri a casaccio sulla povertà in Italia: non siamo neanche alla metà nel numero degli assistiti con il reddito di cittadinanza e si scopre che molti non sono poveri, ma fanno lavori in nero, ecc. E poi qualcuno si stupisce che vengano scoperti a San Luca (Reggio Calabria) 458 persone (più del 10% della popolazione) e 12 imprenditori fasulli che avevano inventato aziende e lavori fittizi per percepire dall’Inps quasi 6 milioni di euro in tre anni. come indennità di malattia, di maternità e di disoccupazione “In particolare le società monitorate erano di fatto riconducibili a persone legate a famiglie che gravitano nell’orbita della criminalità organizzata locale, che a loro volta assumevano prevalentemente altre persone imparentate a famiglie criminali” scrive un giornale locale.
Abbiamo una questione gigantesca davanti a noi, ma non interessa a nessuno. A chi volete che interessi che dalla ricca Lombardia (ed è il valore regionale più alto) partano, in un anno, per l’estero quasi 23.000 persone, quasi il 20% dei 128.000 italiani che vanno all’estero. E sono persone sotto i quarantanove anni.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi” “Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(martedì 10 dicembre 2019)
(segue)