In questi giorni molti amici mi hanno chiesto se quando si ritornerà ad una vita politica normale potremo avere ancora un riferimento politico “liberale”. Sempre in questi giorni la ricorrenza dell’assassinio dei fratelli Rosselli e le considerazioni finali all’Assemblea della Banca d’Italia da parte del Governatore Ignazio Visco, che ha ricordato lungamente Keynes, hanno dato l’opportunità di inquadrare anche storicamente il significato e la contemporaneità del pensiero liberal democratico, le cui origini vanno ricercate proprio nei primi anni ’20 del 1900 dalle appassionate ricerche e dagli studi di pensatori come Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Piero Calamandrei e dagli studi economici di Keynes.
Il 9 giugno 1937 Carlo e Nello Rosselli furono uccisi in Normandia nei pressi della casa di campagna di Carlo che da qualche anno viveva in Francia per sottrarsi alle soperchierie del fascismo imperante. La squadra degli assassini era composta da elementi appartenenti alla Cagoule, una setta spietata e neofascista collegata con i servizi segreti italiani (Ovra) e della Spagna franchista.
La storia di questi due formidabili fratelli è stata ampiamente descritta e analizzata ,io voglio semplicemente ricordare quanto il pensiero dei Rosselli e in particolare quello di Carlo sul socialismo liberale influenzò me e molti miei coetanei che iniziarono negli anni ’60 ad occuparsi di politica.
La lettura di Piero Gobetti, Gaetano Salvemini, Carlo Rosselli ci aveva fatto comprendere fino in fondo i limiti del socialismo reale di stampo marxista leninista. Questi pensatori pur attenti e attratti in parte anche dalla esperienza sovietica erano consapevoli del grave limite del marxismo-leninismo, ovvero l’impossibilità di far coincidere libertà e uguaglianza, ed essi vivevano un’epoca ancora molto vicina alla rivoluzione di ottobre e ancora lontana dalle rivelazioni del 1956 da parte di Krusciov sugli orrori e gli stermini staliniani, anche se lo stesso Carlo Rosselli aveva visto all’opera lo stalinismo nella guerra di Spagna. Nel contempo questo filone di pensiero, che ora chiamiamo liberal democratico, e che traeva linfa vitale dal pensiero mazziniano, aveva messo in evidenza i limiti del pensiero liberale soprattutto quando questo non sapeva formulare una proposta adeguata sugli squilibri sociali. Nel campo economico, la crisi del 1929 aveva drammaticamente evidenziato l’incapacità di autoregolamentazione del sistema capitalistico in una società industriale avanzata, ovvero contenente anche una quota di disoccupazione o di marginalità salariale.
Nelle sue Considerazioni finali, ricorda Gianni Del Vecchio in un magistrale articolo, il Governatore di Bankitalia Ignazio Visco ha citato un solo grande economista. E questo economista è John Maynard Keynes. Lo ha fatto per indicare la strada alla politica verso un piano che possa sconfiggere la crisi economica causata da Covid così come il New Deal rooseveltiano portò fuori l’America dalla Grande Depressione negli anni ’30 del secolo scorso. E cioè tenendo assieme tutti i pregi di un sistema capitalista basato su libero scambio e concorrenza, affiancati però dall’obiettivo di fare riforme profonde per “ridurre le disuguaglianze” ispirandosi a “uno spirito di giustizia sociale”. Visco, non a caso, ha lanciato l’idea, condivisa dal capo degli industriali Carlo Bonomi, di un nuovo “contratto sociale” tra governo, imprese, finanza, istituzioni e società civile per tirare fuori l’Italia dalla palude. Un patto che riconosca intrinsecamente il ruolo della politica come principale depositaria del bene comune e come tale in dovere di correggere le storture che si sono stratificate negli ultimi 40 anni nel nostro paese. E cosa meglio delle idee di Keynes s’attagliano a una missione così ardua? L’economista britannico del resto è già riuscito un paio di volte – negli anni Trenta e nell’immediato Dopoguerra – a salvare il capitalismo (e il mondo da se stesso).
Alla famosa domanda di Norberto Bobbio se esistono ancora la destra e la sinistra si deve rispondere innanzitutto che la “liberal-democrazia” è la sinistra più autentica, non marxista e quindi profondamente ancorata alla democrazia e si riferisce alla sua collocazione tra conservazione e innovazione, immobilismo e cambiamento. Questo concetto non è solo distintivo verso la destra tradizionale, come è sempre stato storicamente, ma anche verso quella gran parte della sinistra ex marxista organizzata, che soprattutto sul fronte del lavoro (vedi sindacati) rifiuta in molti suoi esponenti qualsiasi concetto innovatore, chiusa in una tetra nostalgia della classe operaia che fu e incapace di comprendere le dinamiche sociali attuali.
Questo vuol dire che dobbiamo indirizzarci verso una strategia del cambiamento, come strumento per adeguare la società alle nuove esigenze. Il cambiamento non è un bene di per sé. Ma se il cambiamento, o meglio una strategia politica di cambiamento si indirizza verso un rinnovamento complessivo e più moderno certamente esso diventa un valore positivo e va semmai giudicato sui progetti e sulla loro efficacia.
Nel cambiamento è necessaria la velocità e la determinazione nell’affrontare i problemi e nel proporre e attuare le soluzioni. La velocità non deve contraddire il pregio della profondità, ma sul piano del ragionamento, deve contribuire a consentire legami innovativi e paradigmi imprevisti. Bisogna essere creativi: non c’è dubbio che la “politica” ne abbia un disperato bisogno, nel momento in cui è in crisi e non solo a causa della pandemia. È più di sinistra il contratto a tempo indeterminato o aprire un asilo nido? Sono più a rischio le donne disoccupate o i pensionati impoveriti? Si possono difendere i diritti dei facchini o dei camionisti schiavizzati nella logistica senza perdere l’entusiasmo per l’e-commerce? Sono domande che da sempre hanno diviso il campo della sinistra, da una parte quella di derivazione marxista, dall’altra quella di ispirazione liberale e riformista. Al fallimento del modello marxista non ha corrisposto una revisione dei metodi di osservazione e di proposte politiche da parte di coloro che si considerano eredi del marxismo.
Tocca ai “liberali” individuare in modo convincente le soluzioni del nostro secolo, che non possono essere il mero aggiornamento di “ricette” teorizzate a metà dell’ 800 in una società radicalmente diversa. Possiamo affermare con forza che consideriamo l’espansione dei diritti di per sé un valore. Uno Stato laico e liberale deve attuare leggi che danno espansione ai diritti individuali anche nel campo morale e biotico. La sensibilità individuale e la fede religiosa consente al singolo individuo la decisione di avvalersi o meno di queste leggi come lo è stato per il divorzio e con maggiori difficoltà per l’aborto.
Per difendere i diritti della persona, una cosa diversa da quelli delle classi sociali, cui la sinistra era tradizionalmente abituata, occorre una predisposizione maggiore alla curiosità e alla ricerca. I lavoratori, soprattutto quelli giovani, sono precari, spesso isolati, privi di garanzie. Non basta difendere genericamente “il lavoro”, occorre entrare coraggiosamente nelle contraddizioni dolorose che la nostra società ci pone e contrappone: ambiente contro lavoro (p.e. Ilva di Taranto), diritti acquisiti contro equilibri aziendali. Non ci possiamo cullare in schemi rassicuranti e desueti che non hanno più riscontro con la realtà quotidiana
Dobbiamo combattere l’isolazionalismo. La destra populista e “sovranista” si caratterizza sempre di più per una tendenza all’isolazionismo, soprattutto nell’ambito delle relazioni internazionali e nella volontà di separazione dall’Europa, illudendosi e illudendo che un piccolo Paese come l’Italia possa tornare a svilupparsi solo al di fuori del contesto europeo. Dobbiamo rivendicare orgogliosamente l’importanza delle istituzioni sovranazionali e multipolari, senza rimuovere dal dibattito i limiti oggettivi di questi organismi, sostenendo in particolare l’importanza dell’Europa, perché è impensabile immaginare un futuro per l’Italia al di fuori della dimensione continentale. Al tempo stesso dobbiamo rivendicare una azione politica tesa a ridare slancio all’Europa e a realizzare tutti i passi politici per creare una vera unione politica: politica estera, difesa, politica fiscale, giustizia. La destra impernia la sua narrazione sulla rabbia e sull’avversario: di volta in volta lo straniero, l’Europa, la globalizzazione, la tecnologia. Noi dobbiamo considerare un mondo complesso e mantenere la visione del mondo che fa parte della nostra cultura: libero scambio e non protezionismo, coesione sociale e non lacerazione, innovazione temperata da una maggiore equità sociale.
Il welfare del futuro dovrà basarsi sull’accesso alle opportunità più che sulla pura e semplice protezione che scade nella pura assistenza. La globalizzazione ha mostrato negli ultimi venti anni tutti i suoi rischi micidiali: larghi strati sociali, soprattutto le classi medie dei paesi occidentali, vengono travolti dalle crisi economiche e guardano con disperazione al futuro; il pianeta che conosciamo è minacciato dall’inquinamento atmosferico, dalle megalopoli, dallo sfruttamento dissennato delle risorse agricole come dall’allevamento intensivo degli animali; la finanza agisce in modo slegato dalla produzione e dall’economia reale, travolgendo i diritti dei lavoratori e la nostra stessa idea di democrazia.
Allo stesso tempo, la globalizzazione, che ormai esiste e fa parte del mondo reale, ha consentito a miliardi di persone nel mondo di uscire per la prima volta nella storia dalla condizione di povertà, e ha reso possibili conquiste per l’essere umano che mai ci si sarebbe immaginati: mezzi di comunicazione, viaggi, scoperte tecnologiche strabilianti che dovrebbero indurre un sentimento di fiducia nel futuro. Una politica liberale deve guardare a questa evoluzione con grande passione e impegno e attrezzarsi per individuare modelli di sviluppo sostenibili.
Infine sulle questioni di oggi le forze politiche di ispirazione liberale, devono trovare coesione e unità di intenti partendo da alcuni punti fondamentali:
- Concorrere a utilizzare le forti somme che ci arriveranno dall’Unione Europea, con dei programmi di investimento e riforme che siano realmente in grado di rilanciare il Paese e non destinandoli solo ad una politica assistenziale
- Intervenire rapidamente con forti investimenti sulla scuola, nel suo complesso
- Individuare adeguati investimenti attraverso il MES per la sanità, affinché sia in grado di sostenere altre situazioni di emergenza. Tra gli altri investimenti, il MES potrebbe essere utilizzato per l’indispensabile bonifica della ex-ILVA, e altre situazioni simili
- Concorrere a mettere ordine nella crisi della giustizia riportando tra l’altro la Magistratura all’interno dei suoi compiti e non in funzione di supplente all’azione di governo.
Carlo Visco Gilardi
(martedì 10 giugno 2020)