Si stanno celebrando i centocinquant’anni di un teatro che porta il nome del conte Francesco Dal Verme, proprietario dell’area su cui lui costruì un grande teatro d’opera, che – se non ricordo male – conteneva tremila spettatori.
E queste celebrazioni fanno pensare alla diversità tra la Milano che investiva in cultura, anche negli Ottanta e Novanta del secolo scorso, e quella di oggi che lascia che chiudano teatri e non si impegna, anche in tutti gli spazi nuovi, a creare nuove iniziative culturali per la diffusione del cinema, del teatro, della musica, per aumentare l’offerta culturale.
Per esempio c’è un filo sottile che lega il Dal Verme, al Teatro Nuovo di piazza San Babila, chiuso e forse destinato a diventare parte di un ennesimo centro commerciale. E in questa storia, che lega musica e teatro, ci sarebbero molte persone che starebbero bene in quella “città dell’ingegno” in quel museo di “Milano città del talento e dell’ingegno”, che ho proposto di fare nelle caserme di via Mascheroni e di via Vincenzo Monti: Francesco Dal Verme e la famiglia Dal Verme (ricordo che la divisione Garibaldi “Antonio Gramsci” comandata da Luchino Dal Verme, fu tra le prime formazioni ad entrare a Milano il 27 aprile del 1945); Remigio Paone, Raffaele Mattioli; Carlo Tognoli, Novella Sansoni; Ennio Presutti.
Remigio Paone
Al Nuovo, costruito nel 1938, un grande personaggio che si dovrebbe ricordare più spesso, Remigio Paone, socialista come Antonio Ghiringhelli e Paolo Grassi, diede vita il 27 novembre 1945 ai “Pomeriggi musicali del Teatro Nuovo”, con la direzione di Ferdinando Ballo, pianista e direttore d’orchestra: la cultura è parte fondamentale della ricostruzione di Milano che risorgeva, come ha scritto Antonio Greppi, il primo sindaco di Milano dopo la tragedia del fascismo e della guerra.
Remigio Paone si era laureato nel 1922 con una tesi di economia politica “La partecipazione degli operai agli utili delle imprese”; aveva sposato Italia Libera Beneduce, figlia di Alberto Beneduce, fiondatore e primo presidente dell’IRI; nel 1930 mise in scena una “commedia jazz”, così era presentata “La veglia dei lestofanti”, per camuffare “L’Opera da tre soldi” di Bertolt Brecht; fu tra coloro che organizzarono la fuga dal carcere di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, ospitati nelle sue provvisorie abitazioni assieme a Giorgio Amendola e Bruno Buozzi; fu candidato del “Fronte popolare” nel 1948 e fu tra i fondatori della “Casa della Cultura” di Milano.
Raffaele Mattioli
A Remigio Paone il teatro italiano, la cultura e Milano devono molto. Centinaia e centinaia di iniziative teatrali, nonostante la fatica di trovare i soldi per coprire i bilanci quasi sempre in rosso: “continuò a fare i conti con grandi difficoltà finanziarie, costringendolo ripetutamente a rivolgersi a Raffaele Mattioli – il banchiere ai vertici della Comit, ma anche il potente mecenate e imprenditore culturale – che lo sostenne finanziando il Teatro Nuovo.” (Treccani)
Per inciso, aggiungo che Mattioli custodì nel caveau della Banca Commerciale Italiana i ”Quaderni dal carcere” di Antonio Gramsci.
“Frequentemente assediato dai creditori, poté avvalersi di molti rapporti negli ambienti che contavano e di personaggi pronti ad andare in suo soccorso. Fu il caso di Franco Libonati – noto avvocato romano, legato al gruppo de “Il mondo” di Mario Pannunzio – che intervenne su Nicola De Pirro (negli anni Cinquanta direttore generale dello Spettacolo) e Giulio Andreotti (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo), patrocinando il salvataggio di “Spettacoli Errepi”, in grave crisi per il deficit di Carosello napoletano (1950) di Ettore Giannini, costato a Paone una perdita personale di 86 milioni di lire.” (Treccani)
Remigio Paone a Firenze
“Nominato sovrintendente del Teatro comunale di Firenze, dovette affrontare l’alluvione che il 4 novembre 1966 colpì la città: con l’abnegazione di tutti i dipendenti lavorò alacremente per consentire il provvisorio ripristino delle strutture e l’inizio della stagione lirica invernale. Il 27 novembre – quando la città ancora non aveva l’acqua potabile e i quartieri centrali e periferici versavano in condizioni difficilissime – si tenne l’inaugurazione come da programma e tutti parlarono del ‘miracolo di Remigio Paone’. (Treccani=
Muti diresse l’orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con solista Sviatoslav Richter, uno dei più grandi pianisti del secolo scorso, per la prima volta chiamato da Remigio Paone, e ne divenne poi, dopo il secondo concerto, il direttore musicale.
Carlo Tognoli e Novella Sansoni Tutino
Oggi questa “orchestra da camera”, come vennero chiamati allora i “Pomeriggi musicali”, ha sede al Teatro Dal Verme, sede che venne acquisita dal Comune di Milano e dalla Provincia di Milano, nel 1981, per volontà di Carlo Tognoli e in particolare di Novella Sansoni Tutino, che aveva dato viva a una attività importantissima per la cultura: “Musica nel nostro tempo” (1976-1989) .
“Nell’arco dei tredici anni (di attività di questa rassegna, ndr) le istituzioni furono rappresentate soprattutto da Cesare Mazzonis (Scala), Giorgio Vidusso (Orchestra Rai), Giampiero Taverna (Pomeriggi Musicali) e Riccardo Allorto (Angelicum). A dialogare con loro furono un gruppo di consulenti scelti dalla Provincia. Novella Sansoni volle evitare la nomina di un direttore artistico, per non subire i rischi e i condizionamenti legati alla creazione di una carica che poteva essere lottizzata. Per la prima stagione, furono consulenti della Provincia (in ordine alfabetico) Duilio Courir, Francesco Degrada, Franco Fabbri, Giacomo Manzoni, Maurizio Pollini, Piero Santi. Per il coordinamento, la realizzazione dei concerti da camera e gli altri aspetti organizzativi Luciana Abbado Pestalozza tenne per tredici stagioni la segreteria, con una dedizione che ebbe un peso decisivo nella riuscita dell’iniziativa.“ (Paolo Petazzi Milano, laboratorio musicale del Novecento (Archinto, Milano 2009).
Ennio Presutti
L’idea di Tognoli e di Sansoni era quella di fare del Dal Verme la sede dell’orchestra della Rai di Milano, e per questo venne firmato un protocollo con la Rai che si assumeva l’onere della ristrutturazione. Ma poi la Rai decise che, entro il 30 giugno 1994, dovevano essere chiuse le orchestre di Roma e Milano (quella di Napoli, la Scarlatti, era già stata chiusa nel 1992). Rimaneva solo quella di Torino, perché aveva il suo Auditorium, giustificarono. Nel 1994 peraltro alla presidenza della Rai si succedono Claudio Dematté, e poi Letizia Moratti (dal 12 luglio 1994 al 24 aprile 1996), così alla direzione generale Gianni Locatelli fino al 3 agosto, poi Gianni Billia fino al 31 dicembre 1994 e Raffaele Minicucci dal 16 gennaio 1995 al 28 febbraio 1996.
La Rai quindi decise che non avrebbe completato i lavori di ristrutturazione del Dal Verme e che avrebbe chiesto al Comune e alla Provincia, di rimborsare i soldi che la Rai stessa aveva già speso. Nel frattempo anche l’azienda edile, di fronte alla sospensione dei lavori, aveva chiesto i soldi delle “riserve di cantiere”.
Il rischio era dunque che si bloccasse tutto con un contenzioso enorme, e con lungaggini di tutti i tipi. Allora ero assessore alla Cultura in Regione e decisi di sentire Ennio Presutti, che era nel Consiglio di amministrazione della Rai, presidente della Assolombarda, e poi della Confindustria Lombardia. Con Presutti, e con Aldo Materia, vicedirettore generale della Rai, riuscimmo a concludere una intesa tra Rai, Regione, Provincia e Comune, con l’appoggio decisivo di Marco Vitale, assessore al Bilancio della Giunta Formentini.
Di fatto la Rai continuava i lavori, non pretendeva nessun rimborso e aveva a disposizione un terzo del “tempo spettacolo” per realizzare con l’orchestra della Rai di Torino i concerti al Dal Verme. Il Consiglio di amministrazione della Rai sottoscrisse l’accordo e io mi impegnai a modificare la legge regionale sul FRISL fondo ricostituzione infrastrutture sociali Lombardia (che aveva un limite di 4 miliardi per intervento) per erogare un contributo di 16 miliardi per completare, senza interruzioni, la ristrutturazione del Teatro Dal Verme. Il Consiglio regionale approvò la legge.
In un altro momento, feci anche una legge regionale che dava ai “Pomeriggi Musicali” lo status di ente di interesse regionale, con un finanziamento annuale contenuto in una apposita voce di bilancio. Qualcuno mi disse che facevo male a favorire i “Pomeriggi Musicali”, dovevo preoccuparmi solo della Verdi, che nel frattempo avevo fondato. Era il riflesso condizionato di una visione piccola, che permane tuttora, quando in Lombardia ci dovrebbe essere una orchestra sinfonica in ogni provincia, sede di Conservatorio, e nell’area metropolitana milanese ci dovrebbero essere almeno altre due orchestre, magari collegate al Teatro Lirico e al Teatro degli Arcimboldi. Secondo me, si dovono creare nuove opportunità di lavoro per i giovani e una nuova offerta culturale. Anche per questo, quando ero Presidente dei Pomeriggi Musicali, come assessore alla Cultura del Comune di Milano, alla fine degli anni 80, accettai la richiesta dei sindacati di “stabilizzare” il lavoro dei musicisti dei Pomeriggi musicali con contratti a tempo indeterminato.
Una storia gloriosa di Milano
Comunque, è grazie a Ennio Presutti che oggi il Dal Verme funziona e può festeggiare una storia gloriosa,. Nella sua sede ci sono state le prime di “Le Villi” di Giacomo Puccini, de “I Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo con la direzione di Arturo Toscanini, de “I promessi sposi” di Amilcare Ponchielli, di “Cin Ci La” di Carlo Lombardo, e la prima italiana di “Una vita per lo zar” di Michail Glinka, di “La vedova allegra” di Franz Lehár. Senza dimenticare “il Teatro Futurista” di Filippo Tommaso Marinetti.
Un progetto incompiuto
Concludo, con un progetto incompiuto. Con Aldo Materia avevamo elaborato una proposta e di fatto approntato una delibera regionale per fare in corso Sempione una videoteca aperta al pubblico con il materiale, in primo luogo, culturale, audio e video, degli archivi Rai.
La cosa mi sembrava utile per dare anche un ruolo di servizio pubblico, più ampio, alla sede Rai di Milano. E valorizzare ancora di più la presenza della Rai a Milano, e il contributo della sede milanese alla cultura italiana.
In corso Sempione a Milano, per fare un esempio, su idea di Luciano Berio e Bruno Maderna, nel giugno 1955 venne aperto lo “Studio di Fonologia Musicale” della Rai, progettato dal fisico Alfredo Lietti, e che rimase attivo fino al 28 febbraio 1983. Figura fondamentale all’interno dello studio fu quella di Marino Zuccheri, tecnico del suono.
Lo Studio di Milano segui l’esempio di altri centri europei, e ( dopo Parigi e Colonia) divenne così il “terzo polo” europeo di esperimenti di musica contemporanea con apparecchiature elettroniche. Oggi le attrezzature sono conservate per fortuna al Museo degli strumenti musicali del Castello Sforzesco.
Adesso, con il nuovo governo e con la probabile nuova gestione della Rai, vedremo cosa succederà alla sede milanese, ma forse, come dice un mio amico, non cambierà nulla, perché la Rai è irriformabile ed è patrimonio del “generone romano”.
“La colpa, caro Bruto, non è nelle nostre stelle, ma in noi stessi. Buona notte, e buona fortuna”
Luigi Corbani
(giovedì 10 novembre 2022)
Notizie preziose. Trasformare la cronaca in storia.